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1985 ''Sapere Sapore-arte in Italia 1958-1985''- Castello di Baia (NA) 16 marzo -30 aprile

 
TESTO DI CARMINE BENINCASA PER CATALOGO MOSTRA

Una sfida culturale

Questa mostra sull'Arte in Italia: 1958-85 è la risposta che i responsabili politici (amministratori locali, enti pubblici e privati, dirigenti degli istituti periferici dello Stato) hanno voluto dare, a nome delle comunità che rappresentano; è un gesto di testimonianza del Mezzogiorno d'Italia al presente, un segno inequivocabile del Sud per affermare che la storia del Meridione è il cammino verso una identità di cultura e di arte, di scelta definitiva di un metodo politico che trova nelle iniziative culturali la fedeltà nella ricerca della qualità della vita. Il Meridione non piange sulle sue catastrofi, né rivendica briciole di elemosina o carità pietistica o assistenzialismo parassitario. Il Sud esercita il suo diritto alla giustizia sociale generando eventi culturali, provocando scommesse di iniziative pubbliche, rischiando ogni volta di urlare meno il fatto di essere stato lacerato ed emarginato nel globale progetto politico della vita del paese, per poter affermare un po' di più che la cultura e l'arte contano come i problemi sociali, che il suo tessuto non è soltanto l'oscena empietà sociale e l'iniqua incapacità di un programma politico adatto alla sua storia e alla sua tradizione sociale e culturale, piuttosto è il rischio di una scommessa di esistere come progetto. La proposta di questa mostra è stata valutata per oltre un anno e in seguito resa operativa come progetto nella rinuncia al trionfalismo di un programma esterofìlo: realizzare nell'area geografica flegrea, lacerata dai singhiozzi sismici e da macroferite psicologiche di insicurezza e microcatastrofi socio-urbane, realizzare una mostra su ciò che è accaduto nel campo dell'arte in Italia negli ultimi due decenni, a cominciare dal 1958, anno in cui la rottura del linguaggio formale (l'informale) ebbe un sigillo di definitivo riconoscimento e di diritto ad esistere con dignità nella Biennale di Venezia. Ma chi tenta di conoscere, senza censure o tagli terroristici di privilegi ideologici culturali formali o critici, chi vuole informare su ciò che l'Italia ha generato nell'arte in questi anni, deve avere l'umiltà di interrogarsi innanzitutto in un primo tempo sulla geografia del proprio tessuto, sulla tessitura culturale della cittadella entro cui la sua storia accade, rinunciando al fascino e al delirante desiderio di entrare in altri accampamenti, di esplorare altre realtà sociali, di andare fuori dalle mura. La cultura è la coscienza delle proprie radici. La coscienza culturale è l'accumulo di molteplici esperienze, poiché l'esperienza ripetuta e introiettata diventa cultura. Il paese potrà sapere chi sono gli altri, cosa è l'arte europea e non europea, potrà conoscere e definire la differenza soltanto affermando la propria identità. Urlare ciò che siamo e ciò che noi abbiamo fatto significa affermare l'impossibile tolleranza, ossia fare esistere gli altri, ospitare nella cittadella dell'arte ciò che gli altri hanno cercato di realizzare e vivere. L'Italia resta una zolla di terra ove il suo popolo è fedele alla sua memoria e alla sua tradizione, ove ciò che è non è uguale a ciò che altri paesi vivono, ove la storia è coscienza di esistere infatti di fronte e mai di contro ad altri. Saremo capaci di vivere tutto ciò che l'arte ha realizzato altrove soltanto se siamo consapevoli di chi siamo. Noi siamo ciò che siamo: l'arte italiana è una realtà gravida di tutto ciò che i nostri padri, i testimoni del XX secolo, hanno vissuto rischiato compiuto o non realizzato come eventi storici irreversibili. La conoscenza di ciò che il mondo viveva negli anni '60 era per gli artisti italiani una domanda a cui la loro opera donava una risposta di misura. La risposta che, negli intervalli del pianto amaro e dell'acerbo sapore di ciò che al Meridione viene sottratto, le comunità meridionali vogliono dare è di voler esistere comunque nella storia della cultura: in tutto simili al Nord, al paese intero, all'Italia, all'Europa, al Mondo. Per questo, su iniziativa e progetto di alcuni responsabili della cosa pubblica (in particolare: Ferdinando Ambrosino, sindaco di Bacoli; Franco Iannuzzi, sindaco di Monte di Procida; Mario Manduca, presidente dell' Azienda di Cura e di Soggiorno di Pozzuoli; Vittorio Pellegrino, presidente dell'Ente per il turismo di Napoli), oggi è possibile tentare questa sfida culturale, L'avventura della pittura è il tentativo di trasformare il colore in calore, la materia opaca in trasparenza vibrante di luce, il sapere in sapore, la conoscenza della mente in battito del cuore. Per questo il titolo della mostra è "Sapere-Sapore". Almeno nell'arte, (lo comprendano i farisei e filisteì della cultura), è necessario un po' meno sapere, un po' più sapore. Solo l'arte può ricondurre all'uomo l'orgoglio della ragione per farla esistere in sintonia col battito delle cose del mondo. L'arte è scienza della luce e al contempo coscienza dell'impotenza a trovare la luce. Per questo nel regno dell'arte tutti hanno cittadinanza e diritto a testimoniare la fatica e il dolore, l'ascesi e il martirio del cammino a cui costringe questa sfida e questa scommessa: rendere la conoscenza un luogo del cuore, per cominciare ad esistere nella luce come tentativo festoso e danza cosmica, ove il vedere è sempre un po' non vedere, la visione ancora cecità, la verità sempre coscienza di menzogna, lo spirito cammino ineluttabile per esistere soltanto come corpo. Altro non siamo e non possiamo essere: corpo di luce, grumo di materia gravida di colore, lutto trasfigurato in convito di danza. Da decenni gli artisti vengono giudicati, accolti come cittadini o scartati come bastardi, dalla critica manicheisticamente; da molti anni viene negato ad essi il diritto a esporre le loro opere per porle nel mondo, farle conoscere, provocarne un dibattito, affermare e difendere le ragioni che li hanno costretti a scegliere la loro vita come ubbidienza all'arte, a consacrare alla ricerca la loro storia e la loro esistenza. Da oltre 20 anni (quale sventura!) sono i critici che scelgono e decidono, tagliano e rattoppano, escludono e ammettono, graziano e condannano. L'arte invece è ciò che il mondo riesce ancora a compiere oltre il mondo: e questo deve essere difeso, cercato, vissuto, realizzato e custodito. Oggi bisogna difendere l'arte dai grammatici dell'arte (i critici). Tutti hanno diritto a esporre la loro fatica e il loro cammino nella ricerca: gli artisti hanno il dovere di pretendere che negli spazi pubblici ci sia un posto per essere accolti, per documentare e informare, per testimoniare ciò che sono capaci di produrre e generare. Bisogna difendere l'arte, bisogna salvare il diritto degli artisti a svelare al mondo il cammino nella notte. Non mi consta che sia stato compiuto e tentato, negli ultimi decenni, un tentativo di realizzare una mostra ove tutti potessero pretendere il diritto a sedere accanto agli altri, nel banchetto dell'arte, ove ognuno potesse rivendicare la presenza non soltanto per avere ricevuto l'invito dai curatori della mostra, ma per il diritto sociale di pretendere il dovere a informare la comunità del proprio cammino individuale verso la luce. Questa mostra voleva ospitare, e avrebbe dovuto poter ospitare, tutti coloro che da 30 anni in Italia hanno fatto della ricerca artistica la loro scelta professionale. Se assenze e mancanze saranno denunciate ed evidenziate in questa mostra, ciò è dovuto non alla mala- fede del potere della critica, ma soltanto all'impotenza del critico (al sottoscritto), che è stato incapace di conoscere e vedere, non ha ricercato con rigore e scrupolo scientifico, non ha dedicato la sua professione alla conoscenza filologica, di una corretta informazione e di una morale documentazione. Per questo vogliamo dedicare questa mostra a tutti quegli artisti che non sono presenti, a coloro che si sentono esclusi, a quegli operatori di segni di colori e di materia a cui non è giunto l'invito per la disinformazione del critico. Questa mostra vuole essere l'omaggio del Sud alla testimonianza acerba dolente e profetica che l'arte afferma nel tempo presente, di fronte al paese, al mondo, alla storia. Senza l'arte non c'è storia di verità: sia questa una mostra in omaggio alla verità e alla menzogna dell'arte, immagine e specchio della storia dell'uomo nel nostro tempo. Avessimo avuto giardini e cattedrali, templi e musei, edifici storici e caverne capaci di ospitare anche il più umile segno; avesse potuto il Mezzogiorno accogliere ogni traccia o orma o graffio compiuto dall'ultimo degli artisti; ci fosse stata data la possibilità di donare una sedia ove accogliere intorno alla mensa anche il più mendicante nella ricerca artistica; ci fosse stato dato un luogo di dignità per tutti coloro che vivono il martirio del servizio artistico; allora il Mezzogiorno d'Italia avrebbe realizzato una mostra ove tutti avrebbero potuto prendere posto al banchetto. Questa è la cultura che il Sud vuole vivere: acco- gliere, ospitare, ascoltare e udire, guardare e vedere, misurarsi e confrontarsi, rifiutare e scegliere, dialogare. Per il Sud la cultura è dialogo. Ogni altra forma di cultura è barbara inciviltà, pretesto di violenza, occasione di dominio, situazione di forza. L'arte è un tessuto senza cuciture: chi sfilaccia e recide un filo sfracella e sfregia un mosaico. Nel mosaico della ricerca, ogni tessera, anche la più opaca e lontana e inutile, vale quanto la tessera che da sola esprime significa e rivela un occhio, un volto. La nostra epoca è un mosaico: abbiamo bisogno di ogni pietra, di ogni collante, di ogni luminosa gemma come di ogni impenetrabile incomprensibile inutile scheggia notturna. Vogliamo difendere il giorno dalla pittura proteggendo la notte che occulta la formicolante tessitura dei minatori della conoscenza. Anche nell'arte, il Sud tutto accoglie comprende e spera: l'arte è il luogo dell'impossibile tolleranza e la tenda ove la cultura sfida la sua impotenza: esistere nel mondo con il mondo. Questo siamo, questo noi sappiamo, questo vogliamo essere; apertura, accoglienza, dialogo. La fogna è la censura, la malattia è l'esclusione, la morte è il rifiuto. Nei luoghi pubblici l'arte appartiene agli artisti. Incoraggiare l'arte, scoraggiare la critica, rischiare e amare i grandi fallimenti. "Et vidi sibillam cumanam qui pendebat in ampulla" , racconta nel cap. 3 del Satiricon di Petronio il gaudente Trimalcione. E vide che i fanciulli cominciarono a sospingere in avanti e indietro la sfera ove si accovacciava e tentava di occultarsi la sibilla, in una altalena dondolante e vorticosa. E i fanciulli (questi critici "crapuloni del pasto dell'arte") chiedevano alla Sibilla: "sibilla ti zéleis ?" (sibilla, cosa vuoi?); et illa respundebat: "apozanéin zelò" (incominciare a morire io voglio). Napoli, la Campania, il Sud vuole vivere solo gesti e segni capaci di difendere la vita dell'arte (oscura e indecifrabile come la sibilla) dalla morte a cui la critica vorrebbe sospingerla.

 
 
RISORSE AGGIUNTIVE
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